3 maggio 2022: Francesco Remotti: Le capitali mobili dei regni dell’Africa precoloniale: l’interruzione del potere

I SEMINARI DEL LAS - LABORATORIO DI ANTROPOLOGIA SOCIALE
Ciclo Seminariale Inaugurale su "La nozione di meta-cultura. Disboscatori, capitali mobili, Antropocene"
Francesco Remotti (Università di Torino)
Le capitali mobili dei regni dell’Africa precoloniale: l’interruzione del potere
II incontro
3 maggio 2022, 12:15-14:00, aula M203, Via S. Sofia 9
Sarà possibile accedere in aula fino a esaurimento dei posti.
La partecipazione è fortemente consigliata consigliata agli allievi della Scuola di Dottorato in Filosofia e Scienze dell’Uomo.
Tutti gli interessati sono invitati a partecipare.
Partecipazione via Teams: per il link di accesso alla piattaforma scrivere a gaetano.mangiameli@unimi.it
Francesco Remotti è professore emerito all’Università di Torino, socio dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia Nazionale dei Lincei. È stato Direttore del Dipartimento di Scienze antropologiche dell’ateneo torinesee, Presidente del Centro Piemonte sedi Studi Africani. Ha condotto ricerche etnografiche e storiche in Africa equatoriale. Fra i suoi ultimi lavori si segnala: Somiglianze. Una via per la convivenza, Roma-Bari, Laterza 2019.
La ricerca sul campo, condotta tra i Ba-Nande del Nord Kivu in un esteso arco di tempo (1976-2013), aveva indotto il relatore a formulare la nozione di meta-cultura: una cultura di abakondi (disboscatori di foresta) manifestava in diverse occasioni l’intenzione di sospendere concretamente questa attività distruttiva e aprire spazi a forme di riflessione autocritica. Qualcosa di analogo il relatore ha riscontrato nel suo secondo campo di ricerca africanistico, concernente le capitali mobili dei regni dell’Africa precoloniale: alla morte del sovrano, la capitale veniva distrutta; si apriva quindi un periodo di interregno, in cui si registrava un vero e proprio collasso dello Stato. Il potere centrale era periodicamente interrotto. Anziché essere interpretato soltanto come una debolezza dello Stato (immaturità storica), l’interregno si presta a essere concepito come una fase meta-culturale, in cui programmaticamente si determinano i limiti dell’organizzazione statale, la sua fine periodica: una sorta di “società contro lo Stato” (Pierre Clastres). Considerando ora la cultura in cui viviamo, una cultura mostruosamente globale e inglobante, a cui si è convenuto di dare il nome geologico di Antropocene, la domanda fondamentale riguarda la difficoltà, e pressoché l’impossibilità, di accedere realmente a una meta-cultura, ossia a una sospensione, interruzione, bloccaggio sia pure temporaneo. Come lo Stato moderno, così il progresso (di cui lo Stato è fautore, garante, fruitore), sono concepiti come entità e processi letteralmente “senza fine”. All’origine vi è infatti l’idea di un’umanità titolata a dominare la natura, rendendosi così capace di somigliare sempre più a Dio, di divenire essa stessa divina. Due sono dunque i fattori che rendono difficile, forse impossibile, una reale meta-cultura dell’Antropocene: le dimensioni e la complessità di questa cultura da un lato e, dall’altro, il suo principio divinizzante.